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ISSN: 2283-303X

I cataloghi elettronici delle biblioteche

Tendenze evolutive degli OPAC


Tesi di laurea in biblioteconomia, Corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia, relatore prof. Riccardo Ridi, correlatore prof. Paolo Eleuteri, anno accademico 2006/2007 discussa il 27 febbraio 2008.
di Lucia Tronchin (in linea da marzo 2008) 

1. I primi opac

1.1  In America

Sembra che il primo progetto di automazione in una biblioteca sia avvenuto prima della seconda guerra mondiale alla biblioteca dell’Università del Missouri e sia consistito nell’uso di schede perforate IBM per registrare la circolazione dei documenti. Tra la fine degli anni ‘50 e i primi anni ‘60 furono creati i primi cataloghi su microfiches (COM Computer-output microform) come prodotto di registrazioni catalografiche al computer ma solo nel corso degli anni ’60 si svilupparono un numero consistente di progetti di automazione. Erano tutti caratterizzati dal fatto di nascere in ambiente universitario, di essere sviluppati localmente per fini non commerciali, di gestire la circolazione dei documenti e in seguito anche le procedure di acquisizione, di soddisfare l’esigenza di produrre le schede per il catalogo cartaceo. Quello che viene normalmente riconosciuto come il primo progetto di automazione di successo fu quello di OCLC del 1967 (Yee-Layne 1996 pag. 154). L’applicazione dei processi di automazione ai dati bibliografici richiese uno studio specifico: nel corso degli anni ’60, a partire dal 1963, la Library of Congress promosse la ricerca di un formato di registrazione bibliografica leggibile dall’elaboratore che fosse adatto a realizzare la conversione del suo catalogo cartaceo in catalogo elettronico ma consentisse anche di scambiare i dati con altre biblioteche senza convertire i record tra un sistema e l’altro e permettesse di continuare a produrre le schede cartacee. Fu l’inizio del formato MARC Machine Readable Cataloguing. Nel 1968 fu pubblicato il formato USMARC da parte della Library of Congress, ma la sperimentazione sul formato si estese in molti altri paesi e diede origine a diverse varianti nazionali[1]. Parallelamente si andavano sviluppando le ricerche che cercavano di applicare ai progetti di automazione nelle biblioteche le tecniche e i software di information retrieval.

Secondo Charles Hildreth i primi tre Opac americani furono quello di Online Computer Library Center (OCLC) nel gennaio 1974, di Research Libraries Group/ Research Libraries Network (RLG/RLIN) nel dicembre 1974, e di Ohio State University Library nel gennaio 1975 (Hildredt 1982 pag. 3). Tutti gli anni ’70 furono anni di prove ed errori per gli opac: nessuna grande istituzione aveva ancora pensato di chiudere i propri cataloghi cartacei, tra i bibliotecari molti erano ostili e giudicavano negativamente gli informatici, molti cataloghi automatizzati furono abbandonati e persino alcune biblioteche che erano state pioniere nello studio dei sistemi di automazione li abbandonarono considerandoli troppo costosi (Su 1994 p. 136). Quello che diede una svolta decisiva alla diffusione degli opac fu il cambiamento che avvenne nella tecnologia dei computer e nel relativo mercato nel corso di quegli stessi anni ’70. I computer divennero più veloci, con maggiori capacità di memoria, meno costosi. La diffusione sul mercato dei minicomputer determinò un cambiamento radicale nelle prospettive delle aziende di software, che cominciarono ad offrire sistemi di automazione “chiavi in mano” anche a biblioteche più piccole[2]. All’inizio degli anni ’80 cominciò la diffusione sul mercato dei microcomputer, nel 1982 fu introdotto il PC IBM e nel 1984 l’Apple Macintosh, che rese il computer familiare e accessibile a molti. In quegli anni la questione opac divenne di interesse per tutte le biblioteche: le piccole biblioteche potevano pensare di sviluppare o adattare in proprio sistemi adeguati alle loro specifiche esigenze mentre le grandi istituzioni ebbero la possibilità di offrire direttamente ai loro utenti strumenti di accesso al catalogo (Yee-Layne 1996 pag.154-155). Gli studi sugli opac si moltiplicarono grazie ad uno specifico programma del Council on Library Resources (CLR) focalizzandosi su diversi aspetti tra cui l’analisi del comportamento degli utenti, l’analisi dei sistemi esistenti, lo sviluppo di metodi di analisi dei costi e per la gestione, lo sviluppo di tecniche di comunicazione tra diversi sistemi (Li 1985 pag. 326). Questi studi culminarono in un rapporto finale (Matthews-Lawrence-Ferguson 1983) nel quale il 1982 fu dichiarato l’anno del catalogo on line.

 

1.2  In Italia

La lenta diffusione degli opac in Italia risente della storica arretratezza delle biblioteche italiane rispetto alla situazione di altri paesi anche europei, nonché delle carenze infrastrutturali e del ritardo con cui l’informatica si è diffusa negli enti pubblici del nostro paese nel corso degli anni ‘60 e ‘70. Solo nelle grandi strutture, come le Biblioteche nazionali di Roma e di Firenze dove c’erano le risorse economiche e culturali, o negli istituti di ricerca, per la loro stessa natura disponibili a provare le nuove tecnologie, si crearono le condizioni per sperimentare l’automazione di alcune attività gestionali allo scopo di eseguire più velocemente e a costi più ridotti le attività tradizionali così come era avvenuto all’estero. Anche in Italia, infatti, l’automazione fu pensata innanzi tutto come uno strumento di razionalizzazione delle procedure esistenti (Leombroni 2003). Alla nazionale di Roma si sviluppò il progetto Biblio che continuò fino al 1975, anno in cui cessò la disponibilità di risorse di calcolo messe a disposizione dal ced della Corte di Cassazione sulle quali il progetto si basava. Nonostante la limitatezza delle realizzazioni, l’automazione di alcune procedure interne, il progetto contribuì a chiarire e precisare le direttive future dei processi di automazione che, secondo Angela Vinay, dovevano affrontare il problema della gestione dell’informazione bibliografica (Leombroni 2007 pag. 265). Alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze l’immane disastro dell’alluvione del 1966 ebbe come conseguenza positiva quella di aprire l’istituto al confronto con le realtà internazionali come la Library of Congress. Nel 1968 Diego Maltese, nella sua relazione “Idee per uno schema di automazione della Bibliografia nazionale italiana”, raccomandò l'adozione del formato MARC II, che era lo standard adottato dalla biblioteca americana, con il duplice l'obiettivo di costituire la struttura di base per l'organizzazione di un sistema bibliografico nazionale e di introdurre l'Italia nel circuito informativo internazionale. Nel 1975 venne prodotto il primo catalogo annuale della BNI su nastro magnetico che può essere considerato il risultato della prima procedura informatica per il trattamento di dati bibliografici in Italia (Weston 2001a). I dati erano registrati in formato ANNAMARC (Automazione Nella NAzionale) un formato basato su MARC II che riprendeva però alcune caratteristiche di UKMARC. I nastri della Bibliografia nazionale furono pubblicati in quel formato fino al 1984, anno in cui fu adottato il formato UNIMARC (Scolari 2000 pag. 19). Diversamente da quanto accadde in America dove i dati in formato elettronico messi a disposizione dalla Library of Congress furono subito utilizzati dalle reti di biblioteche ai fini della catalogazione corrente e per costituire un archivio centrale (come quello di OCLC), in Italia i dati della BNI non ebbero ricadute sui processi di automazione delle biblioteche per almeno dieci anni, fino all’avvio del Servizio Bibliotecario Nazionale nel 1985[3].

La seconda metà degli anni ’70 vide il trasferimento delle competenze in materia di biblioteche dallo stato alle regioni e l’avvio di una stagione di grande attivismo a livello locale con la creazione di nuove biblioteche di pubblica lettura. In questo contesto nacquero le prime esperienze di automazione legate al sorgere dei sistemi bibliotecari e dei consorzi attraverso i quali le biblioteche pubbliche locali cominciarono la stagione della cooperazione, esperienze favorite anche dalla nascita dei centri dei calcolo dei comuni e delle aziende di produzione di software che proponevano i primi prodotti per biblioteche (Leombroni 2007 pag. 266). Tra le esperienze pionieristiche di quegli anni sono da segnalare il progetto ECO (Esperienza di cooperazione) ed ECO-periodici avviati nel 1979 dall’Istituto Universitario Europeo di Fiesole e da una quarantina di biblioteche di varia tipologia istituzionale: universitarie, statali, di ente locale. Lo scopo del progetto era realizzare un catalogo collettivo delle pubblicazioni straniere acquisite dalle biblioteche e un catalogo collettivo di periodici correnti. L’unica risorsa di calcolo del progetto si trovava all’Istituto Universitario Europeo (IUE) al quale confluivano le catalogazioni in formato cartaceo; le singole biblioteche aderenti ricevevano periodicamente il catalogo delle nuove accessioni e semestralmente un catalogo cumulativo collettivo su microfilm (Leombroni 2002 pag. 379). Nello stesso ambito nacque il progetto Snadoc (Servizio nazionale di accesso ai documenti) che per la prima volta ipotizzava per l’Italia, e cercava di realizzare a partire dalla Toscana entro il 1980, un servizio di interprestito articolato su quattro livelli: locale, regionale, nazionale e internazionale. Secondo il progetto ogni centro partecipante doveva essere dotato di un terminale collegato allo IUE e di una stampante. Il progetto comprendeva inoltre un programma di catalogazione delle nuove accessioni in collegamento con la Bibliografia Nazionale Italiana e la cooperazione con gli editori anche al fine di controllare meglio il deposito legale. Questi progetti, che sperimentarono tecnologie ma anche modelli di cooperazione, furono la base da cui nacque SBN (Servizio Bibliotecario Nazionale). Essi offrirono precisi suggerimenti operativi che furono condivisi dall’ICCU (Istituto centrale per il catalogo unico) e in particolare da Angela Vinay che lo dirigeva. Nel 1979 la conferenza nazionale delle biblioteche italiane approvò un documento che sosteneva la necessità di realizzare un sistema bibliotecario articolato sui quattro livelli già previsti dal progetto Snadoc e nel marzo del 1980 il Ministero dei Beni culturali costituì una commissione nazionale per l’automazione delle biblioteche. Secondo Luigi Crocetti (Crocetti 1994 pag. 62) il progetto doveva realizzare un nuovo disegno complessivo della realtà bibliotecaria italiana. In questo senso SBN rappresentò una frattura nella storia dell’automazione delle biblioteche italiane perché non si proponeva di razionalizzare le procedure esistenti ma di cambiare il panorama bibliotecario del paese. Il progetto voleva, infatti, realizzare un archivio bibliografico della produzione nazionale, sul quale doveva innestarsi un servizio di circolazione dei documenti, basandosi sulla cooperazione tra soggetti istituzionali diversi a livello statale e regionale. Senza entrare nella storia di SBN, per la quale si rimanda a Leombroni (Leombroni 2002, 2003, 2007) e Gigli (Gigli 2007) ai fini della nostra ricognizione sui primi opac in Italia è necessario accennare almeno ad alcuni aspetti generali: il disegno informatico di SBN fu progettato tra il 1980 e il 1985 e prevede la presenza di una macchina centrale (Indice) nella quale confluiscono i dati delle biblioteche organizzate localmente in gruppi denominati Poli. Tutti i poli condividono le stesse procedure anche se queste sono sviluppate su piattaforme hardware diverse. Fino al 1992 le biblioteche hanno lavorato a livello di sistemi locali (Poli) e solo dal 1992 sono cominciate una serie di migrazioni dei dati dai poli alla macchina centrale (Indice). Questo lentissimo avvio ha creato un enorme ritardo tecnologico dell’intero sistema mentre il suo svilupparsi nell’ambito di una cultura parastatale, con la presenza di molte componenti proprietarie nel sistema, ha impedito che il progetto si aprisse al mercato e adottasse le caratteristiche di scalabilità e flessibilità che avrebbero consentito ad altri soggetti, molto attivi ed avanzati nel campo dell’automazione delle biblioteche, di aderire al progetto. Inoltre, e questo c'interessa particolarmente, il progetto ha focalizzato la sua attenzione sugli aspetti della catalogazione trascurando i servizi all’utente tra i quali lo sviluppo di adeguate procedure di interrogazione del catalogo. La previsione di procedure di interrogazione utilizzabili direttamente dagli utenti era presente già nella prima macroanalisi del sistema redatta da Michel Boisset ma rimase allo stato di bozza. Il primo opac SBN in ambito universitario fu quello sviluppato dal progetto Duo del polo universitario veneto, messo a disposizione degli utenti come prototipo nel 1991. Riconoscendo che il sistema SBN era stato progettato per essere usato dai bibliotecari per lo svolgimento della catalogazione e delle procedure di gestione interne, e che in ambiente universitario non era più sostenibile l’intermediazione dei bibliotecari tra catalogo e utenti, o l’uso dei soli cataloghi cartacei, si realizzò un opac con caratteristiche avanzate tra cui la possibilità di interrogare dalla stessa interfaccia anche altre basi dati e cd-rom. La caratteristica peculiare del sistema era quella di integrarsi con SBN per evitare la duplicazione dei dati bibliografici allo scopo di alimentare l’opac (Agosti-Masotti 1992 pag. 309). Uno dei modi in cui si tentò di sopperire alle carenze delle funzioni di ricerca degli applicativi SBN fu, infatti, proprio quello di far migrare i dati su altri software che, affiancandosi a SBN, svolgessero le funzioni proprie di un opac locale ed inoltre gestissero le procedure di circolazione dei documenti. Il primo opac dell’intero indice SBN fu messo in linea nel 1992 (Metitieri-Ridi 2005 p. 91).

1.3  Che cos’è un opac

What is an online catalog? It is a bibliographic control system that allows access by means of a number of access points (conventional and “unconventional”; singly and in combination) to blibliographic data stored in machine-readable form. The data retrieved is diplayed on terminal screen or printed out on demand. Terminals are housed in the library or elsewhere. The user retrieves information about items held by the library and by other libraries (Gorman 1982 pag. 473)[4].

L’opac è il prodotto di un insieme di componenti umane e tecnologiche. Da una parte ci sono i record, relativi a diversi tipi di documenti, prodotti da catalogatori umani che includono regole e convenzioni relative alla descrizione, all’analisi del soggetto, alla classificazione, ai punti di accesso, alle relazioni sindetiche tra i dati, ai controlli di autorità, ai formati di output. Dall’altra c’è un sistema di database nel quale i record bibliografici sono memorizzati, il quale è creato da ingegneri e programmatori, ha i suoi componenti hardware e software, incluso il sistema e le applicazioni relative alla trasmissione dei dati, ha un proprio insieme di regole di organizzazione e proprie forme di gestione. Esiste inoltre un’area di interfaccia in cui sono eseguite funzioni, transazioni, comandi, messaggi, display di dati a favore di utenti che hanno specifici bisogni informativi e conseguenti compiti da eseguire nel sistema, oltre che specifiche capacità cognitive, modelli mentali, attitudini, esperienze, addestramento nell’uso del computer, aspettative.

Un cambiamento in ognuna di queste componenti determina una rimessa in discussione degli altri aspetti del sistema. Come vedremo, l’evoluzione nel corso del tempo di ciascuno di questi aspetti ha portato cambiamenti negli opac.

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[1] Per una storia degli sviluppi del formato e un’analisi delle sue caratteristiche si veda Scolari (Scolari 2000).

[2] Per una analisi dello sviluppo negli opac in America negli anni ’60, ’70 e ’80 in relazione allo sviluppo delle tecnologie e alla cooperazione tra biblioteche si veda De Gennaro (De Gennaro 1982).

[3] Con l’avvio dell’indice SBN si è venuta poi a creare una situazione particolare per cui, diversamente da ciò che accade negli altri paesi, non è la catalogazione svolta dall’agenzia nazionale preposta al controllo bibliografico ad essere fonte di catalogazione derivata per le altre biblioteche, ma è la catalogazione svolta dalle centinaia di biblioteche sparse sul territorio ad essere catturata e completata per diventare parte della Bibliografia Nazionale, con un rovesciamento di ruoli che è solo una delle tante contraddizioni del sistema biblioteche in Italia.

[4] Che cos’è un catalogo on line? E’ un sistema di controllo bibliografico che permette l’accesso, attraverso una serie di punti di accesso (convenzionali e non convenzionali, singoli o in combinazione) a dati bibliografici memorizzati in un formato leggibile dalla macchina. I dati recuperati vengono mostrati sullo schermo di un terminale o, a richiesta, stampati. I terminali sono posizionati in biblioteca o altrove. L’utente recupera informazioni su materiale posseduto dalla biblioteca o da altre biblioteche.


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