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ISSN: 2283-303X

Accesso mediato. Come cambia la professione nell'era digitale


Versione aggiornata del testo pubblicato anche a stampa in "IBC. Informazioni commenti inchieste sui beni culturali", VII (1999), n. 3, p. 11-13.
di Michele Santoro (in linea da novembre 1999)

In un convegno tenutosi a Bologna nel 1988 e dedicato ai percorsi formativi, alla professionalità e all'organizzazione del lavoro in biblioteca, Anna Maria Mandillo, nel lamentare la scarsa "visibilità" del bibliotecario, la carenza di una sua "potenza d'immagine" verso il mondo esterno, riportava un esempio davvero memorabile: si trattava della risposta che, sulle pagine della rivista "Grazia", la giornalista Enrica Cantani forniva a una ragazza diciassettenne, in ansia dopo la separazione dei genitori per le ripercussioni che l'avvenimento poteva avere sulla madre. "Aiutala a crearsi degli interessi", scriveva la giornalista. "Purtroppo tua madre non lavora, ma un lavoro deve crearselo. Non occorrono cognizioni specifiche per diventare commesse in un negozio di prestigio come una boutique o una profumeria, o fare la bibliotecaria, o essere d'aiuto in qualche associazione civica"[1].

Esempi del genere riferiti alla professione bibliotecaria non sono rari; basti pensare al trattamento che ad essa viene riservato dalla letteratura e dal cinema: ne ricordiamo uno per tutti, tratto del romanzo La spia che venne dal freddo, nel quale il protagonista, rifugiatosi in una biblioteca per sfuggire ai suoi avversari, si vede assegnato - senza indugi e con la massima naturalezza - al settore della catalogazione per soggetto[2].

E tuttavia, al di là dell'aneddotica, è abbastanza evidente che anche nel nostro paese qualcosa stia cambiando, e che oggi sia possibile richiedere non solo una maggiore visibilità, ma un vero e proprio "consenso sociale" nei confronti di una professione che, a ben guardare, non è molto diversa da altre che godono di assai più solidi riconoscimenti. Va segnalata in questo ambito l'attività dell'Associazione Italiana Biblioteche, che nell'ultimo decennio ha accentuato la propria azione in favore di un più ampia visibilità e di un ruolo più definito del bibliotecario, pervenendo con la definizione dell'albo professionale a un traguardo atteso da tempo e volto a un consolidamento non solo dell'immagine, ma anche del ruolo che il bibliotecario è chiamato a svolgere nella società contemporanea[3].

Si tratta di un consolidamento che appare tanto più importante quanto più s'interpreta la biblioteca non come un insieme di documenti destinati ad una mera conservazione, ma come un organismo dinamico, immerso a pieno nell'incessante flusso di informazioni che caratterizza la nostra epoca. La società dell'informazione infatti è qualcosa di più di una metafora o di un "mitologema" (com'è stata di recente, e in maniera assai brillante definita[4]): è una dimensione reale, con la quale ci confrontiamo quotidianamente e che pare sovrastarci con la sua mole impressionante di dati, di notizie, di curiosità di ogni tipo, veicolate in misura esponenziale dalle tecnologie digitali e dalle reti telematiche.

La biblioteca d'altro canto ha da sempre ha rappresentato il luogo per eccellenza di organizzazione e di trasmissione delle conoscenze, attraverso l'impiego di strumenti concettuali (schemi di classificazione) e operativi (repertori, cataloghi) che hanno permesso agli utenti di avvicinarsi in maniera mirata alle informazioni e di recuperarle nel modo più efficace. Anche oggi essa è in grado di assolvere a questo ruolo, pur dovendo tener conto della mutata realtà in cui si trova ad agire: una realtà estremamente più complessa, che contribuisce a trasformare radicalmente non solo le modalità di lavoro in biblioteca, ma gli stessi paradigmi sui quali da secoli essa ha fondato il proprio edificio concettuale. Non a caso per la nostra epoca si parla di una "coemergenza" di saperi provenienti dalle più diverse dimensioni cognitive e della comunicazione, in grado di modificare un nucleo di conoscenze che - a detta di molti osservatori - appare piuttosto statico se non del tutto obsoleto.

E fra le molte funzioni che oggi vengono assegnate alla biblioteca, un ruolo essenziale sembra essere quello per cui essa diviene un centro deputato alla selezione e alla "validazione" delle informazioni: la biblioteca in altri termini diventa una sorta di presidio e quasi una difesa da quel "sovraccarico informativo" dal quale, diversamente, saremmo schiacciati; e il bibliotecario non può che trasformarsi in uno specialista, che conosce a fondo l'ambiente in cui opera, essendo chiamato a interagire dinamicamente con esso.

Ma paradossalmente, nella società dell'informazione, sono molte le realtà che restano prive d'informazione: e ciò per la difficoltà che molte fasce di popolazione trovano nell'accedere alle infrastrutture tecnologiche attraverso cui le informazioni sono diffuse: si tratta di quella categoria che, con termine assai felice, viene definita degli information have-nots, e che non è costituita soltanto da fasce di utenza "disagiata" (minoranze linguistiche, anziani, disabili), ma da tutti coloro che sono privi degli strumenti di accesso alle nuove fonti d'informazione in formato elettronico.

E' in questa dimensione che, a parere di molti, s'impernia il ruolo odierno della biblioteca pubblica, chiamata ad agire come una rete di protezione dell'informazione per chi non ha informazione; ma si tratta un ruolo che, ad una lettura non superficiale, altro non appare se non l'incarnazione più recente dell'idea di public library, nata verso la metà dell'Ottocento quando, sotto l'impulso di pionieri quali Melvil Dewey e Charles Cutter, si manifesta una visione completamente nuova della biblioteca, intesa come una struttura aperta a tutti i cittadini, un'agenzia finanziata con denaro pubblico e volta all'acquisto e all'organizzazione di tutti quei documenti in grado di soddisfare i bisogni di un pubblico quanto mai vasto, al quale va garantito un accesso alle conoscenze senza vincoli di sorta.

Dunque, se il ruolo odierno della public library non è per nulla dissimile da quello che ne ha segnato le origini, come è possibile trasformarla nel luogo dove gli information have-nots possono raggiungere le informazioni in formato elettronico, così come fino a ieri essa ha rappresentato l'accesso ai tradizionali documenti cartacei?

La risposta che, anche nei paesi biblioteconomicamente più avanzati, viene da una parte non trascurabile della popolazione non sembra andare in modo automatico nella direzione di una metamorfosi della biblioteca pubblica in una "biblioteca digitale" tout court.

Difatti molto scalpore ha destato il rapporto Benton, risalente al 1996 e volto a verificare la percezione e le reali aspettative degli utenti americani rispetto alle innovazioni tecnologiche applicate alla biblioteca pubblica; dal rapporto è emerso infatti che gli americani non si aspettano di vedere la biblioteca pubblica al centro della "rivoluzione digitale", scorgendovi per contro il luogo privilegiato di conservazione delle proprie memorie[5].

A fronte di questa situazione, sembra invece che da parte di alcuni governi vi sia un esplicito investimento sulle biblioteche pubbliche. Negli Stati Uniti, ad esempio, già da alcuni anni è stato varato il progetto Next Generation Internet[6], volto a diffondere l'uso della rete nelle aree cruciali per la vita della nazione attraverso le due istituzioni più capillarmente diffuse sul territorio, le scuole e le biblioteche pubbliche: in particolare queste ultime, dotate di una o più postazioni Internet e assistite da tecnici competenti, saranno chiamate ad esercitare una vera e propria funzione didattica, di alfabetizzazione informatica e di conoscenza delle tecnologie digitali per ampie fasce di popolazione.

In Gran Bretagna d'altra parte è stato prodotto, nel luglio del 1997, un corposo documento sul ruolo della biblioteca dal titolo assai eloquente (New Library: the people's network), con il quale "si propone la realizzazione di una rete di servizi e la costituzione di un'agenzia centralizzata per la gestione del copyright e la negoziazione delle licenze"[7].

Se questo è il trend, è dunque inevitabile che le biblioteche pubbliche si trovino ad affrontare notevoli problemi relativi alla gestione di nuovi servizi e al soddisfacimento delle accresciute necessità del pubblico. Ma soprattutto viene da chiedersi se questo ruolo più strettamente sociale non possa snaturare il ruolo propriamente biblioteconomico, di offerta di servizi d'informazione e di conoscenza, che da sempre le public libraries sono chiamate a svolgere.

Una risposta a questo interrogativo è fornita da molte biblioteche pubbliche - ad esempio la Cleveland Public Library - che esplicano da tempo la funzione di alfabetizzazione informatica senza trascurare il tradizionale servizio al pubblico; da alcuni sondaggi è emerso infatti che l'uso massiccio di Internet da parte degli utenti non solo non ha scoraggiato l'afflusso in biblioteca, ma ha aumentato di molto il numero delle richieste di libri, il browsing a scaffale e l'uso di materiali di reference in formato cartaceo.

Tutto ciò suona come una conferma del fatto che le nuove tecnologie sembrano in grado di dare nuova linfa alle biblioteche pubbliche, le quali possono così diventare "un luogo in cui lavorare e imparare, dare e ricevere insegnamento, un luogo come le piazze delle città antiche, dove la gente si riunisce per convivere, per chiacchierare e per scambiare idee".

Se è vero - come è stato scritto di recente - che la cultura della professione bibliotecaria è radicata nella nozione di biblioteca pubblica, e che il "ruolo sociale" della biblioteca consiste nell'organizzazione del sapere a tutti i livelli, dal più generale al più specialistico, vediamo allora che per tutte le biblioteche si apre un futuro incentrato su un'offerta di conoscenza più ampia e dinamica e su un più stretto rapporto con l'utente, in una interazione dialettica in cui lo stesso bibliotecario viene ad arricchirsi di nuove abilità e competenze.

E' dunque possibile concludere questo excursus sulla professione e sulle biblioteche pubbliche con le parole di un grande studioso e "sociologo" delle biblioteche, l'americano Jesse Shera, che ha scritto: "La biblioteca sono i bibliotecari piuttosto che i libri, la biblioteca è la comunicazione piuttosto che la routine. La `missione' della biblioteca è la responsabilità sociale e intellettuale del bibliotecario a partecipare con il pubblico alla soluzione dei problemi ed alla creazione di nuovo sapere".


NOTE

1 Anna Maria Mandillo, Professione bibliotecario: meglio domani che oggi?, in Fare biblioteca. Percorsi formativi, professionalità e organizzazione del lavoro in biblioteca, a cura di Rosaria Campioni. Bologna, Edizioni Analisi, 1988, p. 63.

2 Peraltro il "ruolo sociale" del bibliotecario, specie nella letteratura di area anglossassone, può assumere le forme più varie. Ne è un esempio il seguente dialogo, tratto da un libro di Egdar Wallace, fra Sybil, giovane e beneducata bibliotecaria londinese e sua madre riguardo al detective protagonista del romanzo, le cui attenzioni non trovano insensibile la ragazza: "Chi è quell'uomo, Sybil? [...] Che cos'è... la sua professione, intendo?" Sybil esitò. "Non lo so... attualmente. Era vice ispettore di polizia, ma ha dato le dimissioni. Non te l'avevo già detto?" Poi, in leggero tono di sfida: "Qual è la posizione sociale di un poliziotto?" La madre sorrise divertita. "Più o meno assimilabile a quella di una bibliotecaria, tesoro. Diciamo che, sul piano professionale, siete allo stesso livello." (Edgar Wallace, La porta dalle sette chiavi. Roma, Compagnia del Giallo - Gruppo Newton, 1993, p. 33).

3 Per ogni informazione sull'argomento si veda L'Albo professionale italiano dei bibliotecari, <http://www.aib.it/aib/cen/albohome.htm>.

4 La definizione si deve a Gabriele Gatti, La sindrome AA.VV.: utenti finali tra disintermediazione tecnologica e trappole bibligrafiche, relazione presentata al convegno La biblioteca amichevole. Nuove tecnologie per un servizio orientato all'utente. Milano, 11-12 marzo 1999, "Biblioteche oggi", 17 (1999) 8, p. 36-57

5 Buildings, books, and bytes. Libraries and communities in the digital age. Published by Benton Foundation; Funded by the W. K. Kellogg Foundation, November 1996, <http://www.benton.org/Library/Kellogg/buildings.html>; cfr. al riguardo Carla Basili, La biblioteca in rete. Strategie e servizi nella Società dell'informazione. Milano, Editrice Bibliografica, 1988, p. 121.

6 Next Generation Internet Initiative, <http://www.ngi.gov>.

7 Tommaso Giordano, Biblioteche digitali: la nuova frontiera della cooperazione. "Bollettino AIB", 38 (1998) 3, p. 269-273; al riguardo cfr. Lorcan Dempsey, Soul and song: New Library: the People's Network, "Ariadne", 12 (1997), <http://www.ariadne.ac.uk/issue12/public-libraries/intro.html>.

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