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ISSN: 2283-303X

Gli incerti confini dell'editoria digitale


pubblicato anche a stampa, in "La Fabbrica del Libro. Bollettino di storia dell'editoria in Italia", VI (2000), n. 2, p. 2-6.
di Riccardo Ridi (in linea da febbraio 2001) 

Sempre più spesso si sente parlare di editoria digitale, o elettronica, o multimediale, utilizzando tali qualificazioni - o altre più fantasiose - come sostanzialmente intercambiabili fra loro, per indicare la creazione e la distribuzione di una vasta gamma di prodotti, che vanno dai periodici elettronici ai cd-rom agli e-book, tutti accomunati dalla caratteristica di poter essere fruiti solo grazie all'intermediazione di un computer o comunque di qualche congegno elettronico.[1]

In realtà sotto tale terminologia onnicomprensiva si nascondono oggetti editoriali assai diversi fra loro. La prima distinzione da fare è quella fra editoria on-line e off-line. Theodor Holm Nelson, il visionario inventore del mai realizzato ipertesto planetario Xanadu (che può essere considerato, come minimo, una anticipazione del World Wide Web), ha più volte ripetuto che "pubblicare cd-rom non è editoria elettronica, è pubblicare plastica".[2] È difficile dargli torto, considerando l'abisso - culturale ancora più che tecnologico - che corre fra stampare e poi sparpagliare per il mondo un determinato numero di oggetti pressochè identici fra loro contenenti determinate informazioni (procedura che si ripete allo stesso modo con i libri a stampa così come con i cd-rom e gli altri supporti digitali da utilizzare off-line, ovvero tramite un marchingegno isolato, non collegato in rete) e piazzare le medesime informazioni nella memoria di un unico computer collegato in rete con quelli di tutti coloro che non dovranno muoversi dalla propria abitazione o ufficio per fruire, on-line, di tali contenuti.

Se gran parte degli apparati interpretativi creati dagli studiosi dell'editoria per analizzare dal punto di vista bibliografico, economico, sociologico e storico il libro a stampa (si pensi solo, ad esempio, ai concetti di edizione, impressione, emissione e stato) possono adattarsi, con pochi correttivi, anche ai prodotti editoriali digitali off-line, per quanto riguarda invece quelli on-line gli strumenti critici abituali rischiano talvolta di non cogliere appieno la "rivoluzione copernicana" (non sono più i documenti a muoversi verso i lettori, ma i lettori ad andare verso il documento) creata dalle reti di computer e soprattutto da quella che le raccoglie tutte, nota come Internet.

 Accanto alle tre categorie tutto sommato più omogenee rispetto agli equivalenti cartacei, ovvero i periodici elettronici (con le loro molteplici suddivisioni: gratuiti o tariffati, testuali o multimediali, cloni più o meno fedeli di versioni cartacee o completamente originali, solo correnti o dotati di archivi retrospettivi, forniti dagli editori o dalla emergente categoria degli "aggregatori", dotati o meno di ISSN e comitati scientifici, ecc.),[3] i libri elettronici (finora soprattutto testi ormai fuori copyright raccolti in biblioteche digitali da istituzioni pubbliche o associazioni di volontari, ma si stanno moltiplicando le sperimentazioni di novità distribuite da editori commerciali via Internet gratuitamente - a scopo promozionale - o a pagamento) e le banche dati (eredi elettronici delle bibliografie, dei cataloghi e dei repertori cartacei, di cui esaltano le possibilità di interrogazione), è disponibile on-line una vasta gamma di "entità" che non è affatto pacifico inscrivere nell'ambito della produzione editoriale.

Comunità virtuali che si scambiano messaggi mediante mailing list, newsgroup, chat o forum i cui archivi retrospettivi sono solo talvolta pubblicamente consultabili via web; emittenti televisive e radio che "trasmettono" anche o esclusivamente via web; software e brani musicali venduti o distribuiti in prova da aziende, ma anche dai privati che li hanno creati; giochi delle più svariate tipologie talvolta scaricabili ma spesso anche utilizzabili, da soli o in gruppo, direttamente on-line; editori commerciali che forniscono sul proprio sito solo i riferimenti bibliografici o piccole porzioni dei propri libri e periodici; "contenitori" di articoli e contributi privi di quella scansione in fascicoli che siamo abituati ad associare al concetto di periodico, sia cartaceo che elettronico; testi, immagini, filmati e suoni messi a disposizione da privati nelle loro homepage personali; siti istituzionali e aziendali che offrono una messe di "letteratura grigia" (tesi di laurea e di dottorato, rapporti tecnici, documenti legislativi e normativi, relazioni presentate a convegni, saggi in attesa di accettazione da parte di periodici accademici, cataloghi e manuali di prodotti hardware e software, dispense universitarie e relative a corsi di formazione, ecc.) che, nella loro precedente versione cartacea, non venivano diffusi attraverso i normali canali di pubblicazione commerciale e che quindi erano spesso difficilmente individuabili e accessibili; siti dedicati al commercio elettronico dei beni sia digitali che "reali" più svariati o alla fornitura di servizi al confine fra il "fattuale" e il "documentario" come notiziari, quotazioni di borsa, previsioni del tempo, oroscopi, stradari, ecc.; motori di ricerca, directory per soggetto e virtual reference desk che aiutano a rintracciare tutto quanto è disponibile in rete e portali che, in aggiunta, forniscono l'accesso a una moltitudine di servizi come quelli appena citati; quali di queste "entità" possono essere inscritte nell'universo dei veri e propri documenti editoriali e quali ne fuoriescono, appartenendo al mondo delle realtà (sia pure virtuali) non documentarie ?

 Quale è il confine fra il docuverso (l'universo dei documenti) e l'universo degli oggetti privi di una "dimensione documentaria" ? E, all'interno di un docuverso dove qualsiasi teenager può far giungere i suoi scarabocchi a una platea potenzialmente mondiale che, in epoca pre-Internet, neppure una multinazionale si sarebbe sognata, qual'è il confine fra documenti "editoriali' e "non-editoriali" ? Il sito web di un ente va considerato, nel suo complesso, un macro-documento prodotto dall'ente stesso, un cyber-equivalente dell'ente nella sua globalità oppure un suo nuovo ufficio o settore "virtuale" che si aggiunge ai numerosi già esistenti nel mondo reale ? Nella auto-pubblicazione il ruolo dell'editore viene completamente scavalcato (dis-intermediazione) oppure viene surrogato dall'autore stesso (para-intermediazione) ? Il World Wide Web è uno spazio esclusivamente editoriale ? Tutto ciò che affiora sul Web può essere considerato un prodotto editoriale, organizzato da soggetti di stampo editoriale (nel gergo della rete spesso chiamati "fornitori di contenuti" o "content provider", in contrapposizione agli "Internet service provider" fornitori di connettività) che gli studiosi dell'editoria devono analizzare e le biblioteche devono conservare e catalogare ?

Benchè ci sia chi sottolinei che "l'intero universo dell'offerta Web risponde dunque a criteri di tipo editoriale anche nelle logiche della produzione e del consumo",[4] non saprei rispondere con certezza a tutte queste domande, riguardo alle quali è probabilmente necessario cimentarsi maggiormente anche in analisi teoretico-scientifiche oltre che in mere fotografie del mercato, affrontando con armi epistemologicamente affilate nodi critici come il valore legale delle pubblicazioni on-line e i problemi connessi alla applicazione in ambiente digitale (soprattutto di rete) dei concetti del deposito legale, della conservazione a lungo termine, del controllo bibliografico e catalografico, delle censure esplicite e implicite, della privacy, dei vari livelli di alfabetizzazione, del copyright e del diritto d'autore.

 Anche nel segmento off-line dell'offerta editoriale digitale i confini non sono facilissimi da individuare. L'autentica selva di supporti disponibili (compact disc di mille tipi e il loro probabile "erede" dvd[5] su tutti) non deve indurre a sovrapporre meccanicamente, come spesso accadeva nell'epoca che spesso chiamiamo "gutenberghiana" ma che più genericamente e correttamente dovremmo forse chiamare "analogica", le distinzioni fra oggetti fisici e quelle fra tipologie di documenti. È facile distinguere fra un brano musicale "da ascoltare", riprodotto su un disco in vinile e la trascrizione dello spartito del medesimo brano, "da leggere" sulle pagine di una pubblicazione a stampa. È banale riconoscere un libro stampato in tipografia dal manoscritto o dattiloscritto (anche elettronico) originale che pure veicola la medesima opera.

 Nel mondo analogico è abbastanza semplice capire con un semplice sguardo davanti a che tipo di documento, di stampo più o meno editoriale, ci troviamo; nel mondo digitale il medesimo oggetto può contenere le entità più svariate e sempre più spesso ibridate fra loro. Che differenza c'è, dal punto di vista di uno studioso dell'editoria, fra una enciclopedia multimediale su cd-rom zeppa di documenti sonori, giochi educativi e software per la ricerca e la manipolazione dei dati e un cd audio da ascoltare di norma sul proprio stereo ma arricchito ("enhanced") con filmati e software fruibili solo via PC ?[6] Perchè solo il primo tipo di prodotto viene preso in considerazione, quando va bene, nelle storie dell'editoria più aggiornate mentre il secondo non viene menzionato neppure nelle indagini sul campo di Liscia e Mussinelli citate in apertura ?

Il motivo per cui è sempre più difficile, anche nell'ambiente tutto sommato più familiare dell' elettronica off-line, orientarsi e discernere fra prodotti, produttori e mercati che prima erano ben distinti e distinguibili può essere individuato nel concetto della "convergenza al digitale", ben spiegato da Ciotti e Roncaglia. "Informazioni di tipo diverso possono essere tutte ridotte allo stesso codice di base, alle lunghe catene di 0 e di 1 dell'informazione digitalizzata. Questa, che potremmo chiamare convergenza di codifica, diventa anche una vera e propria convergenza tecnologica nel momento in cui il computer si propone come strumento in grado di gestire efficacemente grosse quantità di informazioni in formato digitale; ecco allora che al posto di strumenti basati su tecnologie totalmente diverse (macchina tipografica, televisore, radio, telefono, macchina da presa, proiettore cinematografico, macchina fotografica...) compaiono strumenti certo spesso diversi per funzioni e interfaccia, ma il cui "cuore" è costituito da un microchip e la cui funzione è quella di acquisire, manipolare e distribuire informazione in formato digitale. Ed ecco (convergenza di mercato) che mercati tradizionalmente diversi (editoria, mercato cinematografico, mercato televisivo, mercato della telefonia...) si integrano fra loro e con quella che storicamente è stata la prima forma di mercato di informazione in formato digitale, il mercato del software. Tutto questo, naturalmente, non manca di avere conseguenze dal punto di vista degli stili e dei linguaggi comunicativi, permettendo un vero e proprio salto di livello nelle possibilità di integrazione di codici diversi all'interno di prodotti informativi unitari (integrazione digitale)".[7]

 Alla distinzione fra editoria digitale on-line o off-line resistono due ulteriori tipologie di prodotti, che complicano ulteriormente il quadro fin qui delinato: gli "e-book" e il "print on demand".

 L'e-book, ancora sperimentale e prodotto da più aziende in concorrenza reciproca, è un "piccolo computer portatile delle dimensioni di un libro tascabile, che ha come funzione quella di far scorrere sullo schermo le pagine dei libri o dei giornali di volta in volta memorizzati, che sono anche consultabili con appositi programmi di ricerca e sui quali è possibile apporre sottolineature e annotazioni".[8] In questo caso la distinzione degli ambiti fra gli informatici produttori del marchingegno hardware che permette la lettura e gli editori che dovranno fornire i contenuti da leggere, scaricabili on-line da vere e proprie "librerie digitali" che si affiancherebbero alle già citate biblioteche digitali, dovrebbe in linea di principio essere chiara, ma sinergie industriali e strategie pubblicitarie potrebbero rendere il quadro nebuloso a osservatori non sufficientemente attenti.

 Il print on demand, è invece una tecnologia elettronica recentemente sviluppata "che dà la possibilità agli editori di stampare un numero molto limitato di copie e/o di delegare interamente agli utenti la scelta delle parti da stampare permettendo loro di selezionare solo le sezioni dei libri che interessano".[9] Stavolta il procedimento editoriale passa attraverso una fase digitale, ma il prodotto che finisce nelle mani dei lettori è incontrovertibilmente cartaceo. Siamo ancora nell'ambito dell'editoria tradizionale, sia pure industrialmente ammodernata e a rischio di una incontrollabile frantumazione delle edizioni, o siamo già passati tout court al digitale, come sicuramente digitale è il Web, da cui pure si ricavano quotidianamente milioni di stampe private ?

 Arduo, in conclusione, distinguere e classificare l'editoria digitale nel suo complesso e nelle sue articolazioni, circondata e attraversata com'è da confini di difficile individuazione, probabilmente situati laddove non eravamo abituati a cercarli e sicuramente in continuo movimento, almeno nei primi anni di questa nostra epoca che produce "incunaboli digitali" ancora non stabilizzati in forme canoniche. Tale difficoltà può essere una attenuante per singoli errori di valutazione e attribuzione, tipici dell'analisi di oggetti di studio troppo vicini e ancora in fase di assestamento, ma non può costituire un alibi per ignorare, nel suo complesso, un fenomeno dalle proporzioni già vastissime e in via di ulteriore accrescimento. Eventuali progetti di ricerca, indagini sul campo, sintesi storiche, strumenti bibliografici, criteri per la valutazione della produttività scientifica e riforme della didattica universitaria che ignorassero questo ormai enorme ambito non apparirebbero quindi in alcun modo giustificabili.
 
 


NOTE:

[1] Per un quadro aggiornato, in ambito italiano, si vedano L'economia digitale in Italia 1999-2000, rapporto annuale dell'Associazione nazionale dell'editoria elettronica, a cura di Roberto Liscia, Milano, Guerini, 2000 e Cristina Mussinelli, Diario multimediale 1998-1999, in Tirature 2000, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, Il saggiatore - Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2000, p. 244-254. Da notare che, in due soli riferimenti bibliografici, sono presenti i tre termini "digitale", "elettronico" e "multimediale", chiaro sintomo di un lessico ancora in fase di assestamento.

[2] Cfr., ad esempio, il sito ufficiale di Xanadu <http://www.xanadu.com>.

[3] Cfr. Antonella De Robbio, I periodici elettronici in Internet. Stato dell'arte e prospettive di sviluppo, "Biblioteche oggi", XVI (1998), n. 7, p. 40-56, oppure in ESB Forum, <adr-period.htm>.

[4] L'economia digitale in Italia 1999-2000, cit., p. 91.

[5] La sigla sta per digital video disk oppure per per digital versatile disk, a seconda delle lezioni.

[6] Analoghe domande, dal punto di vista prettamente catalografico, se le pone Mauro Guerrini nel suo Catalogare le risorse elettroniche. Il formato ISBD(ER), "Biblioteche oggi", XVII (1999), n. 1, p. 46-70, oppure in ESB Forum, <isbder.htm>.

[7] Fabio Ciotti e Gino Roncaglia, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Roma - Bari, Laterza, 2000, p. 348; cfr. anche, per un più ampio scenario politico-culturale, Tommaso Giordano, Futuro no problem ? Convergenza tecnologica e patrimonio culturale, "Bollettino AIB", XXXIX (1999), n. 4, p. 393-398, oppure in AIB-WEB, <http://www.aib.it/aib/boll/1999/99-4-393.htm>.

[8] Mussinelli, cit., p. 246. Cfr. anche Giorgio Bertolla, Tommaso Garosci e Paolo Messina, Per prepararsi agli ebooks, "Biblioteche oggi", XVII (1999), n. 10, p. 10-16.

[9] Mussinelli, cit., p. 246

[10] Cfr. Vincenzo Antonelli, Le pubblicazioni scientifiche on line, "Diritto & diritti", Maggio 2000, <http://www.diritto.it/articoli/informatica/antonelli.html>.

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