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ISSN: 2283-303X

Se il medium è il metodo

in Bibliografie, biblioteche e gestione dell'informazione: un omaggio a Francesco Dell'Orso


di Rossano De Laurentiis (in linea da: 17 maggio 2017)

Indice


Abstract

Ebbi Francesco Dell'Orso docente a un corso AIB a Roma, una delle prime occasioni di formazione e aggiornamento nella mia attività di bibliotecario (fu poco dopo l'anno 2000). Il corso era sui software per la gestione delle citazioni bibliografiche. L'incontro tra la risorsa digitale e l'esigenza di archiviazione - una funzione, questa, senza tempo - offre lo spunto per alcune riflessioni su situazioni simili. Le opportunità dei supporti e degli ambienti digitali toccano anche la testualità in senso lato (scrittura, lettura, ecdotica, bibliografia), il fare e fruire letteratura. Lo specifico del manufatto letterario - come per altre scoperte tecniche del passato (la forma del codex manoscritto, l'invenzione della stampa) - rivoluziona anche il momento ricostruttivo della filologia: l'edizione critica di un testo può beneficiare dell'ambiente informatico. L'etologia del lettore è commentata da una prospettiva di massa: il linguaggio quotidiano risente delle scoperte tecnologiche, e anche in questo àmbito non si scopre nulla di nuovo, se paragoniamo il nostro being digital con il secolo dei Lumi, quando termini, modi di dire e cultura ci vennero dalla Francia. Infine il confronto libro cartaceo / libro elettronico, forse sopravvalutato, trova un contemperamento nelle differenti situazioni in cui usare l'uno e l'altro.


non cerco le pareti della biblioteca ornate di avorio e di cristallo, quanto piuttosto
la sede della tua mente, in cui ho riposto non i libri ma quel che costituisce
il valore dei libri, ossia il contenuto dei libri che una volta furono miei.

(Boezio, De Cons. Phil. [1])

nessun oggetto di ricerca è evidente in partenza, ma lo diviene
man mano che si passa a diversi piani di indagine.

(Maria Corti [2])

1. Premessa

Confesso di essere un cattivo utilizzatore di quei software oggetto del corso tenuto da Francesco Dell'Orso [3] per i soci AIB a Roma. Forse perché, pur riconoscendo l'enorme vantaggio di tempo risparmiato derivante da un programma di archiviazione per una bibliografia di studio e ricerca, tra organizzare un tale archivio e usarlo penso che occorra altrettanto tempo quanto quello che ci prospetta di risparmiare. Siamo così al saldo zero; come il ritrovare tra i bookmarks (i preferiti) la URL del sito che ci serve consultare e il tempo di digitarne il nome sulla barra di ricerca di Google. Può darsi che mi sbagli ovviamente; è certamente innegabile l'utilità per una lista di libri, come per es. quella della propria biblioteca personale o di un fondo librario da gestire.

Le mie prime schede bibliografiche cartacee (alla vecchia maniera), preparate e utilizzate volenterosamente agli inizi della tesi di laurea condotta a partire dalla metà degli anni '90 (quando Internet appena cominciava a entrare nello stile di vita degli italiani), sono ormai desuete. Col tempo sono rifluite tutte nella mia testa. Si impara poi a trovare i necessari riferimenti nei posti giusti come le bibliografie più o meno esaustive di opere fondamentali per un determinato settore di studi [4].

2. Il lessico

Credo di aver già usato in questo mio scritto, appena all'inizio, qualche parola chiave (keyword) in inglese; è il prezzo da pagare per essere al passo coi tempi moderni. E non solo nell'àmbito lavorativo, dell'ufficio o delle ricerche sui cataloghi (OPAC), ma anche nel linguaggio di tutti i giorni. Un paio di esempi tra i primi a venirmi in mente sono: "resettare" come traslato di fare piazza pulita, cancellare dalla propria mente e dalle proprie abitudini; oppure il colloquiale e ironico "sei connesso?" per intendere: sei nelle tue piene facoltà mentali? ecc. Del resto siamo tenuti ad andare dove ci porta la scienza e la tecnologia.

Qualcosa di simile accadde ai nostri antenati settecenteschi dal momento che il «secolo illuminato si caratterizzò non solo per un imponente sviluppo delle scienze, ma anche per una loro popolarità senza precedenti, dimostrata dall'inarrestabile infiltrazione del linguaggio scientifico nella lingua comune, dove si ripetono fino alla sazietà metafore come analizzare il cuore umano [… ecc.]»[5]. Né valeva opporsi all'invasione di «certe foggie di dire coniate nelle fisiche, e geometriche officine. Masse, calcoli, urti […] ingemmeranno con vago tessuto i panegirici, le storie, i poemi, e perfino le epistole, ed i famigliari discorsi» [6]. Si sa che l'uso può fare la norma, almeno nella lingua, perciò ammessa «la novità dei vocaboli, non può escludersi la novità dei traslati, e delle locuzioni che ne derivano […] se la virtù della calamita ha il nome di magnetismo, come impedire al cuor d'un amante di sentir la forza magnetica negli occhi della sua bella?»[7]

Basta spostarsi al secolo successivo, l'Ottocento dell'imperante naturalismo positivo, per trovare in critica testuale e in linguistica funzioni descritte con metafore tratte dalla biologia: «I concetti di stemma e di famiglia, di capostipiti e di ascendenti, di filiazione (o proliferazione) e di parentela, di affini o addirittura - per le tradizioni incontaminate -, di verginale (jungfraulich, Maas)» [8].

3. Evoluzionismo nella scrittura

La competizione tra supporti e strumenti della memoria può essere considerata sotto uno schema evoluzionista della comunicazione; già Hegel considerava la scrittura alfabetica occidentale superiore alla «lingua parlata cinese» [9]. Ma anche all'interno di quel canone si è creato un divide (un discrimine), poiché l'alfabetizzazione «è servita, spesso e a lungo, a mascherare ciò che le era affidato: non ha affatto unito, bensì separato gli uomini, opponendo quelli che sapevano cifrare e decifrare a quelli che ne erano incapaci»[10].

La storia della comunicazione umana è stata anche paragonata a un "palinsesto": «Che cos'è il cervello umano se non un immenso palinsesto naturale?» - si chiede Thomas De Quincey - «Innumerevoli strati di idee, di sentimenti si sono depositati successivamente sul tuo cervello […] nessuno in realtà è perito […] La dimenticanza è dunque soltanto momentanea, e in certe circostanze solenni […] tutto l'immenso e complicato palinsesto della memoria si srotola in un sol colpo […]. Il palinsesto della memoria è indistruttibile» [11].

Inoltre l'«uomo chirografico e tipografico moderno ritiene probabilmente che ogni narrazione sia a trama lineare e con climax» [12]. Ma questo assioma ha cominciato a incrinarsi con la videoscrittura; infatti i filologi dei testi degli scrittori dei nostri giorni dovranno rassegnarsi alla perdita del patrimonio delle "varianti instaurative" [13], a meno di non voler indagare nelle versioni cancellate al computer (il file nel cestino, come accade a chiunque); e pare che negli Stati Uniti stiano cominciando a fare anche questo: un lavoro di scavo su qualcosa che non c'è più o è stato rimosso; per ora a fini più di indagini giudiziarie che non filologiche. C'è una poesia di Montale, profetica e programmatica, Nel Duemila:

Eravamo indecisi tra
esultanza e paura
alla notizia che il computer
rimpiazzerà la penna del poeta.
Nel caso personale, non sapendolo
usare, ripiegherò su schede
che attingono ai ricordi
per poi riunirle a caso.
Ed ora che m'importa
se la vena si smorza
insieme a me sta finendo un'era [14].

4. La testualità

In qualche modo l'iper-testo del web corrisponde a una continua digressione (l'ekphrasis della letteratura classica) dal testo lineare: il link come aggancio a contenuti affini (equivalente del QR code per lo smartphone), o come depistaggio. Quante volte capita di iniziare a leggere una pagina HTML e di perdersi nella selva di collegamenti ipertestuali; come disse Vladimir Nabokov del Don Chisciotte: «il resto del romanzo è una farragine di episodi prefabbricati, intrighi di seconda mano, mediocri pezzi lirici, trite interpolazioni, travestimenti impossibili e coincidenze incredibili»[15].

«I testi sono passati - nel loro utilizzo e sempre più anche nella loro ideazione - dalla forma cartacea a quella digitale, con una nuova interessante commistione tra le due forme» [16]. Tocca perciò riformulare con aggiornamenti il celebre aforisma di Francesco Bacone, e attribuire alla rivoluzione digitale un mutamento dell'«assetto del mondo tutto»[17]. «Di fatto la pagina intesa come misura è in tutto e per tutto un artefatto dovuto a esigenze meccaniche […]. Il testo elettronico incarna il presente che diviene costantemente superato, l'intreccio, la qualità interstiziale della vita stessa» [18].

Mi rifaccio al concetto di "testualità" [19] come emerge dalle riflessioni di Jerome McGann [20] (nato nel 1937), professore all'Università della Virginia [21], che nei suoi scritti ha sempre cercato di far interagire problematicamente la testualità dei manufatti con le nuove potenzialità del testo digitale [22]. Nulla di nuovo sotto il sole: la "bibliografia materiale e sociologica" di McGann trova degli antecedenti in posizioni teoriche alle origini della moderna filologia dell'Ottocento positivista da cui discende tutta la contemporanea ecdotica e critica letteraria. Dal filologo romanzo Martín de Riquer (1914-2013), da alcune sue induzioni, risulta che grazie alla diffusione della carta, a partire dal XIII sec., il roman cavalleresco in versi mutò, dilatandosi nel romanzo in prosa;

i romanzi biografici di Erec, Cligés, Lancelot, Yvain e Perceval […], narrazioni composte da Chrétien de Troyes su tavolette di cera[23] tra il 1160 e 1190, diventano quaranta o settanta anni dopo l'intricata selva di avventure dell'insieme Lancelot - Queste - Mort Artu, il cui originale è pensabile solo scritto sulla carta. […] Non deve sorprendere la coincidenza di un cambiamento di mentalità e di stile con una novità puramente materiale […]. [24]

L'invenzione della stampa spazzò via i residui di "auraticità" delle culture precedenti, introducendo «un senso di chiusura, l'impressione che ciò che si trova in un testo sia finito, abbia raggiunto uno stato di completezza» [25]. McGann ci ricorda come la resa tipografica di un testo, soprattutto se un classico, possa conferirgli quel di più di bellezza che lo rende più vero: «William Morris's Kelmscott Press editions - for example of Chaucer, Keats, Rossetti, and of his own works, perhaps especially The Earthly Paradise - are acts of reinterpretation executed as bibliographical [i.e. typesetting] performances» [26]. Per guardare in casa nostra possiamo ricordare il Petrarca di Contini e Tallone; un'operazione editoriale, per i Rerum vulgarium fragmenta tirati nel dicembre 1949, che vede impegnati il sommo tipografo insieme al principe dei filologi: «Voglio decidermi per l'edizione petrarchesca e le domando se è disposto a prepararmi la più bella lezione per le "Rime sparse"»[27].

5. Ecdotica e storia della stampa

L'ecdotique (fr.) è il termine che ci ha lasciato il filologo delle Sacre Scritture Henri Quentin [28], il cui metodo si pose in antitesi al lachmannismo. Egli infatti trovandosi di fronte la «pletora statistica della Vulgata» biblica, nel 1926 pensò bene di proporre una soluzione-metodo «che preannuncia gli esperimenti probabilistici prima dell'età dei calcolatori» [29]. La lezione a testo viene sganciata dal criterio di maggioranza - situazione propizia in una terna di rami in base agli errori-guida dello stemma lachmanniano, peraltro spesso riducibile a due rami -, solo applicabile in recensio chiusa: quando non c'è contaminazione orizzontale tra i testimoni (caso pressoché assente nella tradizione della Commedia); oppure dalla distinzione tra varianti (in recensione aperta dove valgono solo i criteri interni, come l'interpretatio dell'editore); e viene affidata ad una collazione per accordi o differenze dilatata a n-loci selecti in base al principio di variante ortografica [30]. Siamo all'interno di una tradizione particolare come la filologia biblica, dove la Genesi , per es., curata da Quentin, comporta un'ispezione-scrutinio di manoscritti che «abbondano in ogni grande biblioteca», e tuttavia «la natura del Libro per eccellenza frenava la molteplicità delle varianti»[31].

Un caso paradigmatico della storia della letteratura italiana e, in sostanza, della tipografia, è la vicenda editoriale del Cortegiano, il cui testo originale circolò in forma manoscritta in modo incontrollato, comunque contro la volontà dell'autore. Il mezzo migliore per Baldassarre Castiglione (1478-1529) di mettere al riparo la sua opera intellettuale dagli amanuensi 'pirata' fu di far stampare il testo da una officina affidabile, come uno dei grandi marchi veneziani. In queste officine tipografiche una figura chiave era quella del "compositore" (il termine "proto" è attestato già nel 1585): un artigiano colto che sa leggere e scrivere e conosce la grammatica toscana quanto basta per evitare di inserire errori nella composizione del testo in una veste linguistica (segni grafematici, norme fonomorfologiche) probabilmente non sua; e pertanto non immune, a volte per la fretta, dall'"idioletto" (lingua individuale) della propria origine vernacola. Da qui la statistica probabilità che «ogni tanto, memorizza le frasi con la cadenza della lingua che parla tutti i giorni, lasciando inavvertitamente una traccia destinata a durare per sempre nel volume che sta prendendo forma sotto le sue mani» [32].

Restituire il processo tipografico di quell'edizione significa - come ha fatto Amedeo Quondam - innanzitutto offrire la "trascrizione semidiplomatica" della editio princeps[33] (dunque comprese abbreviazioni e usi difformi rispetto a quelli contemporanei), con accanto la trascrizione appena modernizzata. Ci è giunta anche la stesura del Castiglione, eseguita da amanuense (localizzato a Madrid), che sarebbe servita da antigrafo per la prima edizione veneziana [34]. Si delinea così il fenomeno di variantistica in tipografia: la stampa di successo delle opere letterarie delle Tre Corone [35] e di altri, «con ogni diligenza corrette» [36] secondo le regole della «volgar lingua» formulate da Pietro Bembo, con la normalizzazione linguistica del fiorentino trecentesco [37].

Gabriele Pedullà ritiene che Quondam, nel corso dei decenni della lunga frequentazione con il testo che ha formalizzato le regole di comportamento nelle corti europee, si sia spostato dalla iniziale attenzione all'opera 'auratica' tràdita, ne varietur per eccellenza e perfezione formale, alla considerazione del paratesto (materialità dei codici e del libro stampato, interventi correttori in tipografia), il cui studio rende affollato di nuove figure [38] lo spazio un tempo rarefatto della letteratura (ricordiamo certe formule e ipostasi desanctisiane o crociane).

Il modello FRBR (Functional Requirements for Bibliographic Records) [39], nuova acquisizione teorica della bibliografia, sembra ben riassumere il processo appena descritto con il concetto astratto di "opera"[40] opposto alla miriade di "manifestazioni" ed "esemplari" che ci arrivano da una mediazione editoriale dell'"espressione" di un autore. Oggi un utente di una libreria online (quale libro scarico sul mio device?) può decidere la tipologia del testo, il layout (in HTML con link visibili, in PDF come se fosse stampato); tale offerta commerciale è sempre più agguerrita e fantasiosa (e-publishing, multimedia), e i suoi prodotti vengono consumati secondo la nuova etologia dei ragazzi nati a partire dall'ultimo decennio del secolo passato.

Because electronic publishing is incunabular, energetic, and exciting, it is surrounded by hype, exaggeration, ignorance, and skepticism. […] The Gutenberg Project, for example, well on its way to provide 100,000 free electronic texts by the year 2000 […] but is the product of abyssal ignorance of the textual condition. Its texts are unreliable, for they are insufficiently proofread, inadequately marked for font and formatting, and they come from who knows where, their sources unrecorded. Its perpetrators apparently believe that any copy of a given title adequately represents the work [41].

Come si vede siamo ben lontani dall'ecdotica da cui siamo partiti; ma la storia della comunicazione e diffusione letteraria non sente ragioni.

6. La codifica in bibliografia e nei testi

Abbiamo accennato al modello FRBR, nuova frontiera metodologica dell'universo bibliografico; esso rappresenta un albero genealogico in piccolo del rapporto tra l'opera, intesa come espressione di un autore, e la sua ultima manifestazione materiale: l' esemplare (item) dell'ultima ristampa.

L'adozione di un manoscritto-base, inteso come fondamento della facies linguistica del testo critico, è ritenuta necessaria in filologia romanza fin dai tempi di Paul Meyer [42]. Si può paragonare questo assioma al concetto di ideal copy e di copy-text come sono intesi nella bibliografia anglo-americana [43]. Entrambe queste discipline sembrano, poi, destinate allo scacco di non poter offrire quella ricostruzione/descrizione del prodotto per cui sono nate come "arte" e/o "tecnica". In questa missione (impossibile?) le due discipline sembrano a volte sovrapporsi[44], a volte spartirsi il campo d'azione: l'attività catalografica della bibliografia «ha come precipuo compito quello di conservare, conoscere e di 'comunicare' tutte le manifestazioni, nonché di predisporre il campo d'indagine per entità quali autori, opera, etc.; ma, deve demandare ad altre sedi il compito di conoscere e stabilire le espressioni»[45].

Per tornare alla letteratura romanza, annotava Gaston Paris nella recensione all'edizione di Wendelin Foerster del Cligés, von Christian von Troyes (Halle: Niemeyer, 1884):

La critique d'un texte au point de vue des formes pose, comme on sait, de tout autres problèmes que la critique des leçons. M[onsieur] Foerster examine ces problèmes et se prononce contre les tentatives faites pour donner aux oeuvres du moyen âge une orthographe uniforme. Ces tentatives, dit-il, n'ont qu'un but chimérique: restituer l'autographe de l'auteur est impossible, et il n'y a aucune raison de croire que le poète eût une orthographe plus conséquente que n'importe quel autre scribe [46].

Considerazione che metterebbe fine a tanta filologia ricostruttiva (neo)lachmanniana[47]; e anche le oscillazioni ortografiche di Dante, pur nel rispetto che si deve al Sommo Poeta, appaiono ragionevoli se pensiamo che la Commedia fu scritta nell'arco di quasi vent'anni, in esilio «per le parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando […] legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade» [48]. Se le cose stanno così: che il nostro sacrato poema nazionale, come opera di letteratura romanza, è legato a una «topografia variantistica»[49], dove i testi scritti in quelle lingue neolatine: o hanno bisogno di essere tradotti nella lingua moderna (come accade per la Chanson de Roland ), e di conseguenza non sarà difficile per Joseph Bédier fornire un'edizione sul bon manuscrit senza affidarsi alla meccanica del metodo stemmatico; oppure bisognerà fare in modo che da quella varia lectio si passi a una 'normalizzazione' su una base linguistica, o su un manoscritto-forma, o su un manuscrit de surface [50], dal momento che: «Solo in filologia italiana vari fattori, primo fra tutti il bisogno di offrire per Dante un testo linguisticamente nostro contemporaneo, hanno indotto Barbi a tentare una normalizzazione [51] dei fatti formali (a cominciare da quelli grafici)» [52].

Un caso minimo, per esemplificare il meccanismo che mette in contatto veste linguistica e filologia informatica, ce lo forniscono le scriptae duecentesche scrutinate per il CLPIO[53], soggette a un'estrema variabilità delle forme a causa delle oscillazioni grafiche. Di fronte alla dispersione di forme allografe per un unico lemma (per es. gente < gentem lat.; voce controllata, come l'authority control nella catalogazione), accresciuta anche dall'uso dialettale, si è ricreata ad uso del corpus digitale una piccola costellazione giocata tra la forma accettata, che ha anche un omografo come aggettivo (provenzalismo per "gentile"), e le sue molteplici attestazioni, le quali possono essere organizzate più razionalmente anche con un'"arciforma" (voce di raggruppamento a un livello intermedio, per pura praticità)[54].

L'affermazione fatta nel 1874 da Paul Meyer: «la réelle valeur d'une édition critique réside non pas dans les modifications apportées à la leçon des mss., mais dans les raisons qu'on a de faire ces modifications», sembra delineare l'opposizione tra una filologia orientata al testo e una filologia orientata al testimone (o copia)[55]. Si tratta di un problema di metodo non nuovo, che può essere affrontato fattivamente anche con l'ausilio delle nuove potenzialità informatiche e delle modalità di codifica testuale che ci mettono davanti. La dinamicità della tradizione romanza, così poco confacente al rassicurante stemma codicum di matrice lachmanniana, troverebbe nella multimedialità e ipertestualità di Internet e dell'ambiente digitale in genere, un mezzo favorevole per ricreare quella mouvance (teoria di Paul Zumthor[56]) alla base delle prime letterature romanze [57].

L'ipotesi di Ernesto Monaci, tra i primi romanisti d'Italia, che parlò di tante edizioni per quanti erano i testimoni [58] di una tradizione, sembra così trovare nel medium digitale una realizzazione in alternativa al rapporto (spesso angusto) fra un testo e l'apparato delle varianti in una pubblicazione a stampa. Inoltre è tipico delle risorse della Rete l'enorme velocità performativa e le potenzialità dei database a fini di immagazzinamento per corpora testuali. «The quantity does not matter: what one may require from any computerized method is that it must be efficient and fast, whatever the quantity of data… The data should be encoded in such a way that they may be later used in any possible way without been encoded again» [59].

L'archetipo del VII o VIII secolo d.C. del prosimetro De Consolatione Philosophiae di Boezio presentava - secondo l'ipotesi dell'editore Claudio Moreschini - le parti poetiche scritte in lettere maiuscole, quelle in prosa invece in minuscole [60]. È una forma antica di codifica. «In the case of a system like TEI, the system is designed to "disambiguate" entirely the materials to be encoded. […] Whereas redundancy and ambiguity are expelled from TEI, they are preserved - are marked - in manuscript and print» [61]. Il protocollo SGML-TEI per codificare testi letterari che saranno fruibili in Internet, magari anche in hypertext [62], ricorda così la trascrizione interpretativa che gli editori di antichi testi facevano di un componimento, in scriptio continua e con compendi tachigrafici [63], contenuto in un manoscritto. Va da sé che la trascrizione e la pubblicazione online altera il documento originale, e soprattutto diventa un modo anche involontario di attuare una cernita [64].  

7. Filologia d'autore o "degli scartafacci"

Oggi un'edizione critica tutta in digitale permette un risparmio di carta non indifferente, oltre che una maggiore resa per la fruizione [65] nella rappresentazione della diacronia del testo e delle dinamiche correttorie; pensiamo poi agli scanner ad alta risoluzione o alle modalità social con le quali gli studiosi «possono confrontarsi direttamente fra loro e condividere i contenuti e gli spazi virtuali delle varie piattaforme in tempo reale, in una sorta di seminario permanente» [66].

Siti che ormai sono la 'cassetta degli attrezzi' per gli addetti ai lavori come il Tesoro della lingua italiana delle origini (TLIO-OVI http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/), il database della Lirica italiana delle origini (LIO, già LirIO http://www.fefonlus.it/index.php?option=com_k2&view=item&layout=item&id=488&Itemid=186&lang=it ), il portale dedicato agli Autografi dei letterati italiani (ALI http://www.autografi.net/it/progetto/ ), l'Accademia della Crusca  ( http://www.accademiadellacrusca.it/it/laccademia ), il Dizionario dei volgarizzamenti (DiVo http://tlion.sns.it/divo/index.php?type=db&lang=it ), potranno così, nei casi più propizi, consentire al lettore/critico di essere messo nelle condizioni di sfogliare tutta la documentazione su cui si regge l'ipotesi di lavoro del filologo.

È un punto di vista di produttore, non d'utente. Sennonché, se il critico intende l'opera d'arte come un «oggetto», ciò rappresenta soltanto l'oggettività del suo operare, il «dato» è l'ipotesi di lavoro morale della sua abnegazione; e una considerazione dell'atto poetico lo porterà a spostare dinamicamente le sue formule, a reperire direzioni, piuttosto che contorni fissi, dell'energia poetica. Una direttiva, e non un confine, descrivono le correzioni degli autori.[67]

Se è vero che la filologia d'autore si regge sugli scartafacci, l'uso della videoscrittura dovrebbe suonare come un requiem per questa disciplina. A chi gli obiettava «che così va perduta la nobile gioia del filologo intento a ricostruire, attraverso le successive cancellature e correzioni, l'itinerario che conduce alla perfezione dell' Infinito», Primo Levi rispose: «ha ragione, ma non si può aver tutto»[68]. Lo storico delle scritture Cardona a proposito della videoscrittura ha detto:

Così, l'effetto di questo testo che continuamente si rigenera come la pelle degli eroi mitologici, e riprende sempre l'esatto allineamento, qualunque sia l'aggiunta, è certo quello di un rassicurante ordine esterno. […] Tutto ciò è rasserenante, invita a scegliere il meglio di sé, a utilizzare in miglioramenti il tempo risparmiato (dopo non ci sarà ricopiatura perché il testo è sempre definitivo, in qualunque momento lo si voglia chiudere), ad essere perfezionisti perfino. […] quale maggior monumento al labor limae, di uno strumento che invita ad essere tanto precisi quanto si vuole? Nemmeno il più esigente degli scrittori ha mai conosciuto simile possibilità: con la videoscrittura invece ogni edizione è l'ultima, senza correzioni, salvo che non vi si voglia ancora tornare dopo, a penna. [69]

Per la generazione di autori born digital, i cui testi siano «interamente concepiti, progettati, realizzati e letti (o ascoltati) in Rete»[70], bisognerà forse rivoluzionare il concetto di filologia.


NOTE:

[1] Severino Boezio, La consolazione di Filosofia, a cura di Maria Bettetini, trad. di Barbara Chitussi, note di Giovanni Catapano, Torino: Einaudi, 2010, p. 29, I 5.6; testo latino a fronte. Scrive la curatrice Bettetini, Introduzione, p. XVII e nota 9: «un'opera complessa, di alto livello letterario e filosofico, che cita con precisione autori antichi e vicini, e non sappiamo se grazie alla possibilità di consultare codici (quindi in uno stato di prigionia non molto stretto, come alcuni suppongono pensando al suocero Simmaco, ancora capo del Senato) o grazie a una memoria formidabile; [nota:] La biblioteca di Boezio, ornata di avorio e cristallo, è evocata […] in contrapposizione alla mente dell'uomo ove non sono riposti i libri, ma ciò che ai libri dà valore, le sententiae che la stessa Filosofia vi ha collocato negli anni».

[2] Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano: Bompiani, 1976, p. 7.

[3] Si vedano alcuni suoi contributi: Software per archivi bibliografici, «Biblioteche oggi», 17 (1999), 1, p. 28-38;  ProCite 5 per windows: stabile progresso, ivi, 18 (2000), 3, p. 26-29; Un programma per gestire dati bibliografici, ivi, 25 (2007), 7, p. 28-37. Per gli indici della rivista cfr. http://www.biblio.liuc.it/scripts/bibloggi/ .

[4] Ricordo infatti che partecipai al corso per verificare l'applicabilità della risorsa sul catalogo storico di una casa editrice. Francesco Dell'Orso ebbe l'accortezza in apertura del corso di chiedere ai partecipanti quali fossero le nostre esperienze e aspettative.

[5] Andrea Dardi, Il vocabolario e la terminologia tecnico-scientifica, in La Crusca nell'Ottocento, a cura di E. Benucci, A. Dardi, M. Fanfani, Firenze: Sef, 2003, p. 23-28, a p. 23; c.vo nel testo.

[6] Giovanni Battista Velo, Del carattere nazionale del gusto italiano, e di quello di certo gusto dominante in letteratura straniera, in Vicenza: per Francesco Modena, 1786, p. 102-103; si trova citato in Dardi, Il vocabolario e la terminologia cit., p. 23-24.

[7] Melchiorre Cesarotti, Saggio sopra la lingua italiana, Padova: nella Stamperia Penada, 1785, p. 109.

[8] d'Arco Silvio Avalle, L'immagine della trasmissione manoscritta nella critica testuale (1961), in Id., La doppia verità: fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze: Edizioni del Galluzzo, 2002, p. 3-14, a p. 4. Paul Maas si mostrò incerto di fronte «al problema fondamentale della recensio, quello cioè della contaminazione; tanto perché, coinvolgendo questo fenomeno, come suole, più di due individui alla volta, sarebbe stato ovviamente impossibile trovarne gli equivalenti nel mondo biologico» (ibid.), salvo ricorrere a un altro campo metaforico come la geologia; cfr. la sua Critica del testo, trad. it. di N. Martinelli, Firenze: Le Monnier, 1952, p. 26 e 53. 

[9] Georg W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Roma-Bari: Laterza, 19844 (ed. orig. 1817), p. 452. Il canadese Marshall McLuhan è stato tra i primi a parlare di «competizione fra supporti della conoscenza» negli anni '50 del Novecento, come ricorda Domenico Fiormonte, Scrittura e filologia nell'era digitale, Torino: Bollati Boringhieri, 2003, p. 34 e nota 11.

[10] Cfr. voce Scrittura, a cura di Roland Barthes e Patrick Mauriès, in Enciclopedia [direzione Ruggiero Romano], vol. 12, Ricerca-Socializzazione, Torino: Einaudi, 1981, p. 600-627, a p. 606.

[11] Thomas De Quincey, Paradis artificiels, in Id., Suspiria de Profundis: being a sequel to the confessions of an English opium-eater and other miscellaneous writings, Edinburgh: Adam and Charles Black, 18712; citato da G. Genette, Proust palinsesto (1966), per la sorprendente «risonanza proustiana». Sul "palinsesto" come metafora dell'indagine storica si veda anche: Neil Harris, La bibliografia e il palinsesto della storia, introduzione a G. Thomas Tanselle, Letteratura e manufatti, trad. di Luigi Crocetti, Firenze: Le Lettere, 2004 (Pinakes. Bibliografia, biblioteconomia e catalogazione, 1), p. IX-LXVIII; poi in versione abbreviata con il titolo Riflettendo su 'Letteratura e manufatti': profilo di George Thomas Tanselle, in «Ecdotica», 1 (2004), p. 82-115.

[12] Walter J. Ong, Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Bologna: il Mulino, 1986 (ed. orig. 1982), p. 200.

[13] Per una definizione cfr. Franca Brambilla Ageno, L'edizione critica dei testi volgari, Padova: Antenore, 19843, p. 200 e Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna: il Mulino, 1994, p. 182.

[14]  Eugenio Montale, Diario postumo: 66 poesie e altre, a cura di Annalisa Cima, prefazione di A. Marchese, testo e apparato critico di R. Bettarini, Milano: Mondadori, 1996, p. 21.

[15] Vladimir Nabokov, Lezioni sul Don Chisciotte, Milano: Garzanti, 1989, p. 148-149.

[16] Paola Italia, Editing Novecento, Roma: Salerno editrice, 2013, dalla premessa, a p. 9.

[17] Come è noto Bacone nel Novum Organum, pubblicato nel 1620, attribuì a tre invenzioni (arte della stampa, polvere da sparo, bussola) una carica rivoluzionaria. Cfr. Nuovo organo, a cura di E. De Mas, Roma-Bari: Laterza, 1968, p. 101-102.

[18] Lorenzo Miglioli, Ra-dio / Bit Generation e Michael Joyce, Afternoon, Roma-Bologna: Elettrolibri, 1993 (con 2 floppy disk), p. 72-75.

[19] Secondo la definizione del "Nuovo De Mauro": «carattere di un testo di essere analizzabile nel suo insieme in quanto unità derivante da un progetto compositivo organico» (1975).

[20] Sul professore americano si vedano le posizioni di David Greetham, The end(s) of reading from Nietzsche to McGann e di Michelangelo Zaccarello, Il posto dell'edizione critica nella «nuova repubblica delle lettere» di Jerome McGann, in «Ecdotica», 11 (2014), rispettivamente alle p. 7-14 e 15-25.

[21] Si veda la sua scheda sul sito dell'università: http://www.engl.virginia.edu/people/jjm2f .

[22] Jerome McGann, Rethinking textuality, online a http://www2.iath.virginia.edu/jjm2f/old/jj2000aweb.html#one , dove si trovano alcune idee chiave del suo pensiero: «while we recognize how the semantic elements of any given document encode a record of those elements' historical passage, the same is true of the text's bibliographical elements».

[23] Il tablet ci riporta, anche per le dimensioni maneggevoli, alle tavolette cerate e ad altri supporti scrittori in uso nel mondo antico (l'ostracon, la lamina di piombo).

[24] Martín de Riquer, Il romanzo in prosa e la diffusione della carta (ed. orig. 1978), in La critica del testo, a cura di A. Stussi, Bologna: il Mulino, 1985, p. 189-198, a p. 198.

[25] Ong, Oralità e scrittura cit., p. 186; ma il fenomeno sembra essersi verificato anche prima nei confronti dell'oralità: «la scrittura stessa incoraggiò un certo senso di chiusura cognitiva: isolando il pensiero su una superficie scritta, separata da qualsiasi interlocutore, e in questo senso rendendo l'espressione autonoma e indifferente all'attacco, la scrittura presenta espressione e pensiero come separati dal resto, in qualche modo autonomi e completi» ( ibid.).

[26]   Jerome McGann, A new republic of letters: memory and scholarship in the age of digital reproduction, Cambridge (Mass.); London: Harvard University Press, 2014, p. 79; viene citata Johanna Drucker, Graphical readings and the visual aesthetics of textuality, «Text: transactions of the Society for textual scholarship », 16 (2006), p. 267-276, che ha rilevato circa una ventina di tipi di "spazio bianco" nella pagina tipografica del Chaucer di Kelmscott: «is a dramatic demonstration of the critical/interpretative potentials of bibliographical coding».

[27] Inizio della lettera di Alberto Tallone a Gianfranco Contini, 30 ottobre 1946; riportato in Il bello e il vero: Petrarca, Contini e Tallone tra filologia e arte della stampa, con iconografia, lettere e testi di G. Contini, a cura di R. Cicala e M. Villano, presentazione di C. Carena, Milano: EDUCatt, 2012, p. 51. Lo «scrupolo di fedeltà» al manoscritto Vaticano Latino 3195 implica un lavoro di riscoperta della grafia «del primo grande scrittore di lingua volgare, e sommo paradigma letterario» (virgolettato dalla lettera). Lo stampatore attese al nuovo progetto con una attenta meditazione sul carattere Garamond e sulla mise en page su carta filigranata con il nome del poeta, in modo da conciliare le esigenze della filologia con quelle di un'arte ispirata direttamente all'opera di Aldo Manuzio. Giuseppe Ungaretti scriverà in una recensione di "Petrarca monumentale"; tirato in 375 esemplari numerati.

[28] Henri Quentin, Essais de critique textuelle (Ecdotique), Paris: Picard, 1926.

[29] Gianfranco Contini, Filologia (1977); a cura di L. Leonardi, Bologna: il Mulino, 2014, p. 32 e 43.

[30] Roberto Antonelli, Interpretazione e critica del testo, in Letteratura italiana, direzione Alberto Asor Rosa, vol. 4, L'interpretazione, Torino: Einaudi, 1985, p. 141-243, a p. 172: «il solo che possa prescindere al momento da una valutazione preliminare delle varianti» da parte dell'editore, inevitabilmente soggettiva. 

[31] Contini, Filologia cit., p. 53.

[32] Cfr. Gabriele Pedullà, La «grazia» tipografica del Cortegiano, «Il Sole 24 ore - Domenica», 5 giugno 2016, rec. all'edizione di Amedeo Quondam, Il libro del Cortegiano, comprende: 1. La prima edizione. Nelle case d'Aldo Romano e d'Andrea d'Asola suo suocero, Venezia, aprile 1528 ; 2. Il manoscritto di tipografia (L). Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnhamiano 409 ; 3. L'autore (e i suoi copisti), l''editor', il tipografo. Come il Cortegiano divenne libro a stampa. Nota ai testi di L e Ad, Roma: Bulzoni, 2016. Cfr. https://www.bulzoni.it/it/collane/europa-delle-corti/il-libro-del-cortegiano-1.html e https://www.pressreader.com/italy/il-sole-24-ore/20160605/282716226257971.

[33] Venezia: Aldo Manuzio (figli), 1528.

[34] Quondam arriva a chiedersi: «Chi ha scritto Il libro del Cortegiano?».

[35] Si veda il recente volume di atti Attorno a Dante, Petrarca, Boccaccio: la lingua italiana. I primi trent'anni dell'Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, 1985-2015 . Convegno internazionale [presso l'Accademia della Crusca], Firenze, 16-17 dicembre 2015, a cura di L. Leonardi e M. Maggiore, «Bollettino dell'OVI. Supplementi», 5, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2016.

[36] Paolo Trovato, Con ogni diligenza corretto: la stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570), Ferrara: UnifePress, 2009; in precedenza Bologna: il Mulino, 1991.

[37] Su Bembo e la sua opera di storico della lingua vedi la voce di Mirko Tavoni in Enciclopedia dell'italiano (2010),  http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-bembo_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/ e Giuseppe Patota, La quarta corona: Pietro Bembo e la codificazione dell'italiano scritto, Bologna: il Mulino, 2017.

[38]  Si è cominciato con il lettore e il suo "orizzonte di attesa", poi i tipografi, gli editori e i copisti, i sodali di Accademia chiamati a giudicare in anteprima gli scritti degli amici (secondo la logica della correzione reciproca), i censori.

[39] Si vedano i siti ufficiali: IFLA https://www.ifla.org/publications/functional-requirements-for-bibliographic-records; OCLC http://www.oclc.org/research/activities/frbr.html; ICCU SBN http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/main/attivita/gruppilav_commissioni/pagina_94.html;jsessionid=BE72528999673450755D49645E808FDB; e i contributi di Federica Rossi, Un nuovo acronimo per la biblioteca: FRBR, «Bibliotime», 4 (2001), 3, a http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-iv-3/rossi.htm; e Carlo Bianchini, FRBR prima di FRBR: il numero di libro nella Colon Classification, «Jlis.it», 1 (2010), 1, a https://www.jlis.it/article/view/31/32 .

[40]  Il testo/opera acquista con il nuovo veicolo digitale «la computazionalità, la flessibilità, la possibilità di creare convergenze tra i codici, la reticolarità»; cfr. Alessandra Anichini, Il testo digitale: leggere e scrivere nell'epoca dei nuovi media, Firenze: Apogeo, 2010, p. 28.

[41] Peter L. Shillingsburg, Scholarly editing in the computer age: theory and practice, Ann Arbor: The University of Michigan Press, 19963, p. 161.

[42] Cfr. Lino Leonardi, L'art d'éditer les anciens textes (1872-1928): les stratégies d'un débat aux origines de la philologie romane, in «Romania», 127 (2009), p. 273-302.

[43] Walter Wilson Greg, The Rationale of Copy-Text, in «Studies in Bibliography», 3 (1950-1951), p. 19-36. Cfr. Lino Leonardi, Il testo come ipotesi (critica del manoscritto-base), «Medioevo romanzo», 35 (2011), 1, p. 5-34, a p. 10 e nota 21, che precisa: «vi si riprendono ad uso della filologia inglese concetti che erano abituali da più di mezzo secolo in filologia romanza, come la distinzione tra fatti di sostanza ("substantive readings") e di forma ("accidentals"), rimanendo sempre nell'ambito di una terminologia para-aristotelica».

[44] Cfr. McGann, Rethinking cit.: «the heuristic distinction between bibliographic and semantic elements obscures the field of textual meaning by identifying the signifying field (its "rationale") with the semantic field». O per dirla con Donald F. McKenzie, Bibliografia e sociologia dei testi, Milano: Sylvestre Bonnard, 1999 (ed. orig. 1986), elementi quali interpunzione, formato, dediche, fregi, annunci pubblicitari su riviste e giornali, elenchi dei sottoscrittori, forme varie delle legature, timbri di possesso, marche tipografiche, caratteri di stampa, qualità della carta, ecc. sono tutti investiti di una 'funzione espressiva' e contribuiscono alla costruzione del significato.

[45] Marielisa Rossi, Presupposti e attribuzioni della catalogazione del libro antico, in Seminario FRBR: Functional requirements for bibliographic records = Requisiti funzionali per record bibliografici, Firenze, 27-28 gennaio 2000, atti a cura di M. Guerrini, Roma: AIB, 2000, p. 98-112, a p. 112.

[46] Gaston Paris, in «Romania», 13 (1884), p. 154; per le vecchie annate della rivista, si veda una digitalizzazione parziale a http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/cb343492391/date# .

[47] Bernard Cerquiglini, Éloge de la variante: histoire critique de la philologie, Paris: Seuil, 1989, si pronuncia a favore della «mobilità e della varianza del testo rispetto alla produzione d'autore e alla fase archetipica»; virgolettato in Francesco Stella, Il problema della codifica nelle edizioni filologiche digitali, in Nel segno del testo: edizioni, materiali e studi per Oronzo Pecere, a cura di L. Del Corso, F. De Vivo, A. Stramaglia, Firenze: Edizioni Gonnelli, 2015, p. 347-357, a p. 347.

[48] Convivio, I iii 4-5; ed. Brambilla Ageno, Firenze: Le Lettere, 1995.

[49] Il sintagma è di Corti, Principi della comunicazione letteraria cit., p. 114.

[50] La terminologia è passata in rassegna da Leonardi, Il testo come ipotesi cit., p. 10; l'ultima formula è suggerita da Jacques Monfrin (1924-1998), filologo francese che ha proposto la definizione: «choix d'un manuscrit de base pour les faits de surface», e che a sua volta mi fa pensare alla omologa di McGann, Rethinking cit.: «text documents, while coded bibliographically and semantically, are all marked graphically». 

[51] Michele Barbi, Per il testo della 'Divina Commedia', Roma: Trevisini, 1891, estr. da «Rivista critica della letteratura italiana», 7 (1891), dic., p. 161-170. Si veda sul «Bullettino della Società Dantesca Italiana», n. 1, marzo 1890, p. 24-28, la Relazione dei tre soci nominati a studiare e proporre intorno ad una edizione critica di tutte le Opere di Dante : «E poiché le norme, con le quali sappiamo che sarebbe condotta la nuova edizione di queste due scritture [ De vulgari eloquentia (Rajna), Convivio (Parodi)], sono le stesse che noi raccomanderemmo per la Commedia e per le Rime; così i dotti potranno saggiare e giudicare della bontà del metodo, mentre l'Italia ci confidiamo che acquisterà de' due Trattati un testo, il quale riproduca, per quanto si può, la vera genuina effigie del pensiero dantesco», [data] Firenze, 20 dicembre 1889 / [f.to] A. Bartoli, A. D'Ancona, I. Del Lungo [ma Barbi redattore non accreditato]. Ora anche online a http://dantesca.org/cms/bullettino-intro/ .

[52] Leonardi, Il testo come ipotesi cit., p. 10.

[53] Concordanze della lingua poetica italiana delle origini: (CLPIO) , a cura di d'A. S. Avalle; e con il concorso dell'Accademia della Crusca, Milano-Napoli: Ricciardi, 1992, vol. 1. Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivita/1-concordanze-lingua-poetica-italiana-origini-clpio-dirette-darco-silvio-avalle-cura-lino-l .

[54] Il caso è illustrato da Lino Leonardi, Tradizione poetica e dinamica testuale nella lirica italiana del Duecento: funzioni di un ipertesto, in Testi, manoscritti, ipertesti: compatibilità informatica e letteratura medievale, atti del Convegno internazionale, Firenze, Certosa del Galluzzo, 31 maggio - 1 giugno 1996, a cura di L. Leonardi, Firenze: Sismel - Edizioni del Galluzzo, 1998, p. 33-58, a p. 39-43 e 58.

[55] La polarità è stata ricordata da Pietro G. Beltrami, A che serve un'edizione critica? Leggere i testi della letteratura romanza medievale, Bologna: il Mulino, 2010, p. 112 e 124.

[56] Cfr. Paul Zumthor, Semiologia e poetica medievale, Milano: Feltrinelli, 1974 (ed. orig. 1972). Dello stesso si veda Lingua, testo, enigma, Genova: Il melangolo, 1991 (ed. orig. 1975), p. 30: «Più manifestamente del linguaggio, il fatto grafico procede dall'intelletto creatore; isola e "marca"; fa non più esistere, ma essere; la colonna incisa preserva da ogni asservimento al tempo il disegno che porta e il proposito. […] Il linguaggio appartiene all'uomo; la scrittura in origine celebra gli eroi e fissa le formule dei maghi». 

[57] Si cita ancora Cerquiglini, nella trad. inglese, In praise of the variant: a critical history of philology, Baltimore-London: Johns Hopkins University Press, 1999, p. 70: «The screen, which technologists are forever improving and refining, is at the same time dialogic (it offers constant interaction between user and machine) and multidimensional (it allows the user to bring together, through the use of windows, data from unregulated sources). Making use of these two features, one can imagine a way of editing a medieval work, itself born of that collection of disparate units which is the codex, that would no longer be bound by the two-dimensional structure of the printed-page: a diskette accepts varied masses of text which the reader looks at by bringing them up in different ways on the computer screen».

[58] Cfr. Ruggero M. Ruggieri, Ernesto Monaci, in Id., La filologia romanza in Italia, Milano: Marzorati, 1969, p. 181-205, a p. 183: su «quanto ritenesse importante rispecchiare con la maggiore fedeltà possibile l'aspetto esterno del codice [Canzoniere portoghese della Vaticana, 1875], che riprodusse con tutte le sue peculiarità grafiche».

[59] Cfr. Caroline Macé e Marc Dubuisson, Handling a large manuscript tradition with a computer, in The evolution of texts: confronting stemmatological and genetical methods. Proceedings of the International workshop held in Louvain-la-Neuve on September 1-2, 2004, ed. by C. Macé, Ph. Baret, A. Bozzi, L. Cignoni, Pisa-Roma: Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2006 (= «Linguistica computazionale», 24-25 [2006]), p. 25-37, a p. 27.

[60] Cfr. "Nota editoriale" in Boezio, La consolazione di Filosofia cit., p. XXX-XXXI.

[61] McGann, A new republic of letters cit., p. 92.

[62] In filologia sono categorie interpretative forti la intertestualità (il rapporto di un testo con opere di altri autori), la intra-testualità (rapporto con opere dello stesso autore) e l'extratestualità (aspetti sociali e culturali di cui l'opera è un epifenomeno).

[63] Si veda http://danteonline.it/italiano/risorse.htm per i "Principi di trascrizione del testo e delle rubriche della Commedia: regole per la codifica di compendi, lacune, correzioni, aggiunte, revisioni ecc.". Altri siti-portali sul Poeta fiorentino sono DanteSearch, Università di Pisa, http://www.perunaenciclopediadantescadigitale.eu:8080/dantesearch/ ; mentre il Dartmouth Dante Project «combines modern information technology with nearly seven hundred years of commentary tradition on Dante's major poem», https://dante.dartmouth.edu/ .

[64] Piero Innocenti, Metodi e tecniche nella ricerca bibliografica (Trilogia di Mary Poppins), Manziana: Vecchiarelli, 1999, p. 78: «Il cambiamento di supporto è conosciuto dalla tradizione documentaria e bibliotecaria: cambiare supporti e translitterare vuol dire intervenire sulla tradizione dei testi e sulla sua sede; vuol dire scegliere e scegliere vuol dire condannare ciò che non viene scelto. Forse per sempre».

[65] Paola Italia - Giulia Raboni, Che cos'è la filologia d'autore, Roma: Carocci, 2010, p. 36: «marcatori cromatici per rappresentare le varie stratificazioni del testo o più fasce correttorie. Tutti elementi che nell'edizione cartacea […] erano affidati ai marcatori tipografici (monocromi) e all'uso di simboli e abbreviazioni». Vedi anche Domenico Scavetta, Le metamorfosi della scrittura: dal testo all'ipertesto, Firenze: La Nuova Italia, 1992.

[66] Cfr. l'esperimento su Carlo Emilio Gadda, http://www.filologiadautore.it/wiki . Per il sito dedicato alla "Filologia d'autore" vedi http://www.filologiadautore.it/wp/ .

[67] Gianfranco Contini, Saggio d'un commento alle correzioni del Petrarca volgare, Firenze: Sansoni, 1943 (scritto nel 1941), poi in Id., Varianti e altra linguistica: una raccolta di saggi (1938-1968), Torino: Einaudi, 1970, p. 5-31, a p. 5.

[68] Primo Levi, L'altrui mestiere, Torino: Einaudi, 1985, p. 233.

[69] Giorgio Raimondo Cardona, I linguaggi del sapere, a cura di C. Bologna, Roma-Bari: Laterza, 1990, p. 190-191; dello stesso vedi anche I percorsi della scrittura: aspetti conoscitivi di uno strumento di comunicazione, «Biblioteche Oggi», 3 (1985), 2, p. 11-19.

[70] Italia-Raboni, Che cos'è la filologia d'autore cit., p. 35; Paola Italia nel paragrafo 1.6 rimanda a Peter L. Shillingsburg, From Gutenberg to Google, London: Cambridge University Press, 2010. 

 

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